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L autorizzazione alla deditio corporis data con il matrimonio non ha natura assoluta ed illimitata, né determina un totale asservimento, quasi a titolo di servitù personale, del proprio corpo, in modo permanente e totale per soddisfare i desideri sessuali dell altro consorte.
L interesse all inviolabilità sessuale nel rapporto interconiugale non viene meno, sì da rendere assente la oggettività giuridica del reato all art. 519 c.p., perché il consorte non si priva in maniera incondizionata verso l altro consorte della facoltà di disporre del proprio corpo, né perde la libertà di negare l atto sessuale; il fatto che l opposizione sia motivata o immotivata non determina alcuna influenza sulla difesa di siffatta libertà, difesa che è indirizzata ad evitare unioni carnali coatte, indipendentemente dalla inclinazioni naturali delle persone dell unione carnale non liberamente permessa.
La Corte di cassazione (127) stabiliva altresì che ...(omissis) il reato di violenza carnale si presenta non soltanto quando vi sia una lotta strenua, in grado di lasciare tracce sulla vittima, ma pure quando questa sia stata messa in atto soltanto per porre fine ad una circostanza per lei penosa ed insostenibile, poiché siffatta autorizzazione non è libero consenso, ma consenso coercitivo, che rientra nel concetto di violenza di cui all art. 519 c.p.
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La posizione per la quale l unione carnale violenta messa in atto dal consorte a scapito dell altro consorte, non rientrerebbe nella materia dell art. 519 c.p. è sbagliata, poiché non tiene conto, per nulla o nella giusta misura, il rispetto dovuto al soggetto come persona libera di autodeterminarsi.
Difatti la relazione di coniugi non declassa il soggetto di un consorte ad oggetto di possesso dell altro consorte, sicché, qualora esso si trasformi a violenza al fine di possedere il corpo, rappresenta evento di grave antigiuridicità, che non può non essere punito in merito all art. 519 c.p., con cui si8 specifica l art. 610 c.p., violenza privata, che difende la determinazione del volere.
Nonostante questa precisa considerazione della Cassazione, la Corte di appello di Roma, con pronuncia del 1990, giustificava l assoluzione di un marito che aveva spesso abusato della moglie, richiamando la necessità di un dolo particolare per la determinazione del reato di violenza carnale tra consorti.
Ma la Cassazione, chiamata nel 1994 per risolvere il problema dopo il ricorso della vittima, stabiliva che ...(omissis) unico è il concetto di violenza carnale e non soggetto a caratteristiche differenti tra estranei o nelle relazioni tra consorti. (128) Pure nella precedente dottrina vi era stato un paragone, per ciò che concerne il diritto a negare la prestazione sessuale, tra il consorte non separato e quello in corso di separazione.
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Si evidenzia difatti, nella pronuncia del Tribunale di Latina del 13 marzo 1989: ...(omissis) il reato di violenza o tentata violenza carnale può ben configurarsi pure tra consorti (in particolare dal marito), poiché deve sempre attribuirsi a ognuno di essi la volontà di non consentire l amplesso; la negazione non legittima mai, sulla base della legge penale, il consorte che l amplesso vuole raggiungere attraverso l utilizzo della forza.
È problema ormai messo da parte nell odierno ordinamento che attribuisce al consorte non separato il potere di non consentire l amplesso (fatta eccezione del differente rilievo alle conseguenze civili della possibile sistematica negazione); maggiormente lecito deve considerarsi il rifiuto manifestato dalla vittima in pendenza di giudizio di separazione personale tra consorti, durante il quale, con procedura momentanea a livello presidenziale, era stato fra l altro prescritto che il marito dovesse abbandonare il domicilio coniugale.